RESOCONTO STENOGRAFICO
Paolo GENTILONI SILVERI, presidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, signore Presidenti e signori Presidenti, gentili ospiti, noi avremo frequentemente, in questi giorni, da qui a sabato prossimo e oltre, da convivere con il paradosso del fatto che, in uno dei momenti più difficili dell’Unione europea, parleremo molto spesso delle sue conquiste, dei suoi risultati, dei regali che ha fatto alla nostra generazione e alle generazioni che verranno. Penso che dobbiamo essere consapevoli di questa difficoltà e non farcene intimidire. Non è che noi raccontiamo le conquiste e i successi dell’Unione europea per farci coraggio tra noi, le élite politiche del continente. Li raccontiamo perché sono la storia di questi sessant’anni e perché questa storia, diciamo la verità, è scarsamente conosciuta, è stata scarsamente valorizzata e conoscerla poco e valorizzarla poco è stato un nostro errore, una delle cause delle nostre difficoltà. (Applausi).
Non dobbiamo avere timore in questi giorni, quando ricordiamo, com’è stato fatto in questo pomeriggio, le conquiste di pace, le conquiste di welfare, la grande forza economica (l’Unione europea è stata definita la superpotenza tranquilla) e soprattutto le conquiste di libertà. Un grande europeo, Václav Havel, parlava dell’uscita del suo Paese dalla dittatura definendola come un ritorno all’Europa. L’idea, in sostanza, che l’Europa sia stato un magnete capace di attrarre, prima nella penisola iberica, poi in Grecia, poi all’Est del nostro continente, verso la libertà, la democrazia, la società aperta.
Ora, nel momento in cui ricordiamo senza timidezza ciò che è stata l’Unione europea e ciò che siamo, di fronte a noi c’è l’alternativa che riguarda i nostri prossimi anni. L’alternativa è tra rimpiangere queste conquiste e questi valori e difenderli: se non li difendiamo, li rimpiangeremo e penso che nell’Aula del Senato dobbiamo dire con coraggio che questo è il momento di difenderli per evitare di doverli rimpiangere. (Applausi). C’è una base popolare per fare questa operazione. Credo – prima ho ascoltato il bellissimo intervento di Frans Timmermans – che in questa settimana ci siamo sentiti un po’ tutti olandesi in un certo senso. Con l’Olanda, ogni tanto, abbiamo delle discussioni sulle politiche finanziarie dell’Unione europea, ma quello è stato un risultato che ci ha fatto sentire tutti più convintamente europeisti. Naturalmente per difenderli e non dover rimpiangere questi valori dobbiamo capire la natura delle difficoltà che abbiamo davanti. Non sono delle difficoltà necessariamente transitorie o effimere. Certo, ci sono state delle decisioni politiche – lo ricordava prima il senatore Monti – che hanno portato il 23 giugno il Regno Unito a decidere per la Brexit e ci sono state e ci sono delle posizioni soggettive di alcune forze politiche e di alcuni partiti che spingono in una direzione contro l’Europa, però la sfida che abbiamo davanti dipende da tendenze che scavano in profondità sulla realtà dell’Europa e sull’edificio dell’Unione europea perché, in primo luogo, abbiamo a che fare con le difficoltà economiche del nostro continente e, in particolare, delle classe medie e medio-basse. Se allarghiamo lo sguardo agli ultimi venti anni, ci rendiamo che a livello globale c’è stato l’ingresso nel benessere o, comunque, l’uscita dalla povertà di centinaia e centinaia di milioni di persone, innanzitutto in Asia. Questo ha creato in parte anche delle conseguenze negative dalle parti nostre. Nel 2007‑2008 abbiamo avuto la più grave crisi economica dal dopoguerra. Ogni tanto tendiamo a dimenticarcelo. Contemporaneamente abbiamo avuto nel Mediterraneo, avendo questo come centro, minacce alla nostra sicurezza che in gergo sono definite asimmetriche, ma certamente diverse sia dalla fase della divisione dell’Europa in due blocchi e sia dalla stagione del terrorismo degli anni Settanta in diversi Paesi europei. Questa minaccia che si è insediata nel cuore del Mediterraneo ha destabilizzato in profondità i nostri Paesi e le nostre società e poi abbiamo avuto i grandi flussi migratori che hanno influito. Quindi, se vogliamo difendere le nostre conquiste dobbiamo guardare negli occhi, riconoscendoli, i problemi che scavano e creano difficoltà alla nostra Unione europea. Una parte dei nostri concittadini – questo è il punto – si sente oggi più minacciata e meno protetta e cerca risposte a questa sensazione di minore protezione nella riscoperta delle proprie radici e della propria identità che, tuttavia, molto spesso si rivolge alla riscoperta di sentimenti iper sovranisti o addirittura nazionalistici.
Questo è il punto fondamentale nella situazione in cui ci troviamo: la crisi che scava e la risposta in soluzioni che di per sé sono comprensibili. Infatti, quando ti senti minacciato e senti venir meno la tua protezione, cerchi risposta nel tuo luogo, nella tua radice e nella tua identità, ma se la tua identità diventa chiusura, ostilità verso le differenze e contrapposizione nei confronti dei vicini, da qui nascono le premesse per ripetere esperienze terribili della nostra storia europea, come ha ricordato il presidente Napolitano nel suo intervento. Non siamo indulgenti verso la tendenza della riscoperta identitaria, verso il nazionalismo e la contrapposizione tra i diversi Paesi. (Applausi). Sono processi di cui possiamo vedere la nascita ma che, se non freniamo in tempo, faremo fatica a fermare quando si saranno affermati e sviluppati più del dovuto. La risposta non può essere quella di un’Europa che si ferma e sceglie di affrontare gli ostacoli stando in surplace, ma deve essere inevitabilmente quella di un’Europa che va avanti.
Quali sono, quindi, gli obiettivi che possiamo realisticamente porci nell’occasione della celebrazione, sabato 25 marzo, dei Sessant’anni dei Trattati di Roma? Sono principalmente due: il primo è il messaggio che l’Europa non può stare ferma, ma deve andare avanti e deve farlo anche scontando la necessaria flessibilità che il suo andare avanti può richiedere. Sapete che su questo punto è in corso una discussione molto ampia, i cui binari sono stati impostati dal Libro bianco della Commissione europea e cui hanno contribuito in modo molto importante le tre relazioni del Parlamento europeo.
Il punto è molto semplice: andare avanti non significa affatto se scegliere di escludere qualcuno. L’ho detto a Strasburgo e lo ripeto qui: l’Italia non accetterà mai che si scelga una divisione tra Europa dell’Est e Europa dell’Ovest o tra Europa di serie «A» e Europa di serie «B». Noi che siamo uno dei Paesi fondatori vogliamo andare avanti insieme, con un’Europa a 27, ma non vogliamo che la velocità e la direzione di marcia di questa Europa sia principalmente stabilita dai Paesi più riluttanti in questo percorso.
Non c’è niente di rivoluzionario in questo. Sono i Trattati di Lisbona a prevedere la possibilità di compiere operazioni di cooperazione rafforzata; siamo noi che non l’abbiamo fatto. Non si sta proponendo qualcosa di rivoluzionario. Siamo noi che dobbiamo utilizzare gli strumenti dei trattati per non dare l’idea a quei cittadini preoccupati, che si sentono scarsamente protetti, di un’Europa immobile, ferma e non in grado di dare risposte.
L’altro obiettivo, oltre all’idea di un’Europa che prende l’iniziativa, è quello di dare risposte a quelle tre o quattro questioni di cui in molti, insieme ai presidenti Tajani e Donald Tusk, hanno parlato nei loro interventi e sappiamo quali sono.
Sappiamo che si può fare finalmente qualcosa di più sul terreno della sicurezza e della difesa; esattamente quel terreno su cui ci fu una falsa partenza, sessantacinque anni fa, oggi può essere un terreno su cui si può andare più avanti. Significa dare risposte al tema dell’immigrazione, perché sappiamo bene che l’idea di un’Europa che lascia a pochi Paesi scelti, non da Bruxelles, ma dalla geografia, la responsabilità dell’intero peso delle politica migratoria è un’Europa che non risponde alle esigenze a cui dovrebbe far fronte.
Infine, vi è il grande tema della crescita, degli investimenti, dell’Europa dello sviluppo. Non facciamoci attrarre da un’idea per la quale alcuni dati più incoraggianti sul piano macroeconomico – che ci sono e ce li ha descritti nell’ultimo Consiglio europeo il presidente Draghi nella sua informazione – si confondano con l’illusione che le difficoltà sociali che abbiamo in Europa siano vicine ad essere superate, perché non è così. Il lavoro per gli investimenti, l’occupazione e la promozione della crescita è un lavoro che deve andare avanti; guai a fermarsi oggi, nel momento in cui finalmente l’Europa si riprende gradualmente sul terreno della crescita.
Saranno quindi queste giornate, e in particolare la giornata dell’anniversario di sabato, l’occasione, spero propizia, per rilanciare questo percorso. Io mi auguro di poterlo fare con la spinta di voi membri del Parlamento, e non solo con l’avallo e l’approvazione, che è necessaria. Noi, quando andiamo ai Consiglio europei, tutte le volte facciamo un dibattito con un voto, in Italia e negli altri Paesi; facciamo un dibattito nel nostro Parlamento nazionale, dando al Governo un mandato su che cosa bisogna portare al Consiglio europeo. Talvolta questo mandato, tra l’altro, non è sempre frutto di un dibattito della ricchezza che meriterebbe, ma io non chiedo solo a voi, membri del Parlamento, un avallo a questa speranza di rilancio del percorso europeo; vi chiedo, come è giusto, di esserne protagonisti, perché senza legittimazione democratica, un percorso di questo genere, che ha nei valori della libertà e della democrazia i suoi valori fondanti, non può fare passi avanti. Quindi l’Europa può essere rilanciata, e lo può anche nella misura in cui dal Parlamento europeo e dai Parlamenti nazionali verrà ai suoi Governi la spinta nella direzione giusta di cui abbiamo davvero bisogno. Vi ringrazio. (Applausi).
PRESIDENTE. Ringrazio tutti di essere intervenuti oggi.
Invito i Capi delegazione a scendere nell’Emiciclo per la foto ufficiale, prima di accompagnarmi presso la Sala Koch per visitare la mostra «Libri che hanno fatto l’Europa. Governo dell’economia e democrazia dal XV al XX secolo».
(La Conferenza termina alle ore 17,37).